01 settembre 2020
Click Baiting, cos'è? Quando è meglio evitarlo e perché?
Se state iniziando ad addentrarvi nell'immenso mondo che è la SEO, incontrerete (se non è già successo) il termine Click bait. Un termine inglese che è importante conoscere molto bene dal momento che Google penalizza non poco, in termini di posizionamento e non solo, i webmaster e i copywriter che utilizzano questa pratica all'interno dei loro siti web. Di cosa si sta parlando? Per comprenderlo basta prendere in considerazione la traduzione letterale di questa parola. La traduzione sarebbe "esca da click" e già da qui comprendiamo molto bene per quale motivo viene utilizzata questa "tecnica". Lo scopo è quello di attrarre il maggior numero di utenti e convincerli, con titoli accattivanti, a cliccare su determinati link presenti in una pagina internet per andare a leggere il contenuto promesso.
Parlando in maniera molto più ampia, il riferimento è ad ogni titolo sensazionalistico o immagine accattivante che porta il lettore a fare click su determinati contenuti che poi, alla fine, hanno tassi informativi davvero molto bassi e, in alcuni casi, anche completamente vicini allo zero. Le promesse dei titoli o delle immagini, quindi, non vengono soddisfatte e lasciano, per questo, i lettori del tutto insoddisfatti di quanto letto.
Se in origine il clickbaiting vedeva l'inserimento di un link all'interno delle pagine che, una volta cliccato dai lettori, permetteva loro di effettuare dei pagamenti o richiedere un contatto prima di aver accesso ai contenuti veri e propri, oggi si tratta di una tecnica abbastanza utilizzata sul web sia sui social network dove sempre più spesso vengono pubblicati annunci e collegamenti a link da cliccare se interessati sia in ottica SERP e, quindi, all'interno dei risultati dei motori di ricerca. Nel caso di clickbait, come anticipato, saremo difronte ad un titolo sensazionalistico, ammiccante e criptico in maniera voluta al fine di spingerci, mediante la nota curiosity gap, a fare clic sul link proposto.
Tipici esempi li ritroviamo proprio sui social network come, ad esempio, Facebook o Instagram. È capitato a tutti di trovarsi, almeno una volta, dinnanzi ad un post accompagnato da un titolo che ci incuriosisce molto. Titoli come "Pazzesco! Non crederete a quel che è accaduto..". Un titolo di questo tipo è naturale che induca gli utenti al clic perché subentra la cuorisità di sapere quel che, poi, è realmente accaduto. Tranne poi, all'interno della pagina, non scoprire quasi mai alcunché. Ormai, però, il clic è stato fatto e i vantaggi per le pagine in questione sono ormai partiti. Impossibile tornare indietro!
Ecco, quindi, che si palesa il principale obiettivo del clickbaiting, quello di attirare visite (facendo aumentare i guadagni in termini pubblicitari).
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Quando è nato il clickbaiting?
Cerchiamo adesso di rispondere ad una domanda che, magari, tanti di voi si sono già posti. Quali sono le origini del clickbaiting? In definitiva, da cosa trae spunto il suo sviluppo?
Per trovare una risposta dobbiamo tornare abbastanza indietro nel tempo, scivolando indietro fino al 1800. Erano anni, quelli, in cui i vari giornali cercavano di attirare i lettori in ogni modo. Ed è in questo clima di accanita concorrenza che si è cominciato a ricorrere alla drammatizzazione e all'alterazione delle news per portarle ad essere quanto più vicine ai lettori e a suscitare la curiosità della gente.
Se il clickbaiting è nato e si è sviluppato in ambiente giornalistico, ne possiamo trovare tracce evidenti anche in quello pubblicitario. Per comprenderlo basta prendere in considerazione il nostro stesso comportamento dinnanzi ad uno spot qualsiasi. Da quale veniamo attirati di più? Ovviamente da quello che ci incuriosisce con più forza e che ci spinge, quindi, a creare in noi la voglia di approfondire e, magari, provare il prodotto pubblicizzato. Un link che ci incuriosisce ha tantissime possibilità in più di essere cliccato rispetto ad uno che non lo fa. Anche se, poi, il contenuto del secondo potrebbe risultare molto più congruo e pertinente rispetto al primo. Il fatto, poi, che sul web le notizie diventino "vecchie" e superate già dopo poche ore porta all'utilizzo di qualunque tecnica per accaparrarsi il maggior numero di clic possibili incrementando, di conseguenza, i guadagni.
I "princìpi" su cui si fonda il clickbaiting
Abbiamo già sottolineato più volte come l'elemento cardine su cui il clickbaiting fonda il suo "successo" sia quello emozionale. Esistono vari testi letterari che ci spiegano come un contenuto emotivamente forte attiri molti più utenti di uno che non suscita alcuna emozione. In base ad alcuni recenti studi, però, parrebbe non esserci solo l'emozione dietro il successo di questo fenomeno. Pare, infatti, che gli utenti siano sempre più pigri cerebralmente al punto da non riuscire ad evitare l'interazione con tutti i link che gli si pongono davanti. A dimostrarlo vi sono i milioni di link che, giorno dopo giorno, vengono postati sui social network e che, puntualmente, riscontrano la curiosità degli utenti. A provocare curiosità sarebbero, però, solo i titoli sensazionalistici dal momento che poi, all'atto pratico, i tempi di permanenza all'interno del link (una volta aperti) sono davvero molto ridotti per riguardare una chiara lettura delle pagine. La Columbia University ha affermato che quasi il 60% degli internauti che condivide un link sui social network, lo fa senza averlo nemmeno aperto. Molto spesso, anzi sempre, è sufficiente creare un titolo accattivante e persino post "vuoti" riescono a racimolare un numero impressionante di condivisioni. Ne consegue un importante ritorno economico in termini di guadagni pubblicitari che non ci sarebbero se chi apre i link, constatatone la pessima qualità informativa, non contribuisse a divulgarlo ulteriormente.
Data per assodata, quindi, la potenza di questo fenomeno, vi sono numerosi giornalisti e testate che se ne discostano fermamente. Il motivo è chiaro: il click baiting viene ritenuto troppo manipolativo e del tutto ininfluente (cosa comunque sempre vera) sul piano dei valori dei contenuti.
Il click baiting sul piano etico
Il click baiting funziona, ormai è chiaro a tutti! Il suo utilizzo, però, è stato più volte definito del tutto contrario all'etica che dovrebbe stare alla base del lavoro di chi fa informazione. In base ad una sentenza di quasi 40 anni fa (ulteriore dimostrazione che il fenomeno è molto in voga da tantissimi anni), ogni giornalista ha il dovere di informare i lettori in maniera corretta e nella più totale imparzialità trovando il titolo che maggiormente descrive il contenuto del proprio articolo. L'invito contenuto in sentenza, quindi, è quello di evitare assolutamente di utilizzare toni scandalizzati o sensazionalistici con il solo obiettivo di indurre i lettori a leggere la notizia.
Quanto detto vale, indubbiamente, se intendiamo il fenomeno nella sua accezione più negativa: attirare click degli utenti senza fornire loro informazioni di valore. Se andiamo a considerarlo, però, in termini positivi, il click baiting diventa uno strumento per portare gli utenti a cliccare su un articolo che, però, fornirà loro contenuti di valore. In questo caso è consentito l'utilizzo di titoli attraenti e virali che, se rispondenti al contenuto dei pezzi, non lede la credibilità di chi scrive e non lascia l'amaro in bocca a chi decide di leggere la news.
Ma quali qualità deve avere un titolo per essere adeguato e per contribuire ad un'adeguata strategia di marketing?
Sono essenzialmente quattro le caratteristiche che individuano un buon titolo e che un giornalista deve assolutamente tenere a mente nel momento in cui ne sceglie uno per il proprio articolo. Vediamoli insieme.
Bisogno di ulteriori chiarimenti? Non esitate a contattarci
Parlando in maniera molto più ampia, il riferimento è ad ogni titolo sensazionalistico o immagine accattivante che porta il lettore a fare click su determinati contenuti che poi, alla fine, hanno tassi informativi davvero molto bassi e, in alcuni casi, anche completamente vicini allo zero. Le promesse dei titoli o delle immagini, quindi, non vengono soddisfatte e lasciano, per questo, i lettori del tutto insoddisfatti di quanto letto.
Se in origine il clickbaiting vedeva l'inserimento di un link all'interno delle pagine che, una volta cliccato dai lettori, permetteva loro di effettuare dei pagamenti o richiedere un contatto prima di aver accesso ai contenuti veri e propri, oggi si tratta di una tecnica abbastanza utilizzata sul web sia sui social network dove sempre più spesso vengono pubblicati annunci e collegamenti a link da cliccare se interessati sia in ottica SERP e, quindi, all'interno dei risultati dei motori di ricerca. Nel caso di clickbait, come anticipato, saremo difronte ad un titolo sensazionalistico, ammiccante e criptico in maniera voluta al fine di spingerci, mediante la nota curiosity gap, a fare clic sul link proposto.
Tipici esempi li ritroviamo proprio sui social network come, ad esempio, Facebook o Instagram. È capitato a tutti di trovarsi, almeno una volta, dinnanzi ad un post accompagnato da un titolo che ci incuriosisce molto. Titoli come "Pazzesco! Non crederete a quel che è accaduto..". Un titolo di questo tipo è naturale che induca gli utenti al clic perché subentra la cuorisità di sapere quel che, poi, è realmente accaduto. Tranne poi, all'interno della pagina, non scoprire quasi mai alcunché. Ormai, però, il clic è stato fatto e i vantaggi per le pagine in questione sono ormai partiti. Impossibile tornare indietro!
Ecco, quindi, che si palesa il principale obiettivo del clickbaiting, quello di attirare visite (facendo aumentare i guadagni in termini pubblicitari).
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Quando è nato il clickbaiting?
Cerchiamo adesso di rispondere ad una domanda che, magari, tanti di voi si sono già posti. Quali sono le origini del clickbaiting? In definitiva, da cosa trae spunto il suo sviluppo?
Per trovare una risposta dobbiamo tornare abbastanza indietro nel tempo, scivolando indietro fino al 1800. Erano anni, quelli, in cui i vari giornali cercavano di attirare i lettori in ogni modo. Ed è in questo clima di accanita concorrenza che si è cominciato a ricorrere alla drammatizzazione e all'alterazione delle news per portarle ad essere quanto più vicine ai lettori e a suscitare la curiosità della gente.
Se il clickbaiting è nato e si è sviluppato in ambiente giornalistico, ne possiamo trovare tracce evidenti anche in quello pubblicitario. Per comprenderlo basta prendere in considerazione il nostro stesso comportamento dinnanzi ad uno spot qualsiasi. Da quale veniamo attirati di più? Ovviamente da quello che ci incuriosisce con più forza e che ci spinge, quindi, a creare in noi la voglia di approfondire e, magari, provare il prodotto pubblicizzato. Un link che ci incuriosisce ha tantissime possibilità in più di essere cliccato rispetto ad uno che non lo fa. Anche se, poi, il contenuto del secondo potrebbe risultare molto più congruo e pertinente rispetto al primo. Il fatto, poi, che sul web le notizie diventino "vecchie" e superate già dopo poche ore porta all'utilizzo di qualunque tecnica per accaparrarsi il maggior numero di clic possibili incrementando, di conseguenza, i guadagni.
I "princìpi" su cui si fonda il clickbaiting
Abbiamo già sottolineato più volte come l'elemento cardine su cui il clickbaiting fonda il suo "successo" sia quello emozionale. Esistono vari testi letterari che ci spiegano come un contenuto emotivamente forte attiri molti più utenti di uno che non suscita alcuna emozione. In base ad alcuni recenti studi, però, parrebbe non esserci solo l'emozione dietro il successo di questo fenomeno. Pare, infatti, che gli utenti siano sempre più pigri cerebralmente al punto da non riuscire ad evitare l'interazione con tutti i link che gli si pongono davanti. A dimostrarlo vi sono i milioni di link che, giorno dopo giorno, vengono postati sui social network e che, puntualmente, riscontrano la curiosità degli utenti. A provocare curiosità sarebbero, però, solo i titoli sensazionalistici dal momento che poi, all'atto pratico, i tempi di permanenza all'interno del link (una volta aperti) sono davvero molto ridotti per riguardare una chiara lettura delle pagine. La Columbia University ha affermato che quasi il 60% degli internauti che condivide un link sui social network, lo fa senza averlo nemmeno aperto. Molto spesso, anzi sempre, è sufficiente creare un titolo accattivante e persino post "vuoti" riescono a racimolare un numero impressionante di condivisioni. Ne consegue un importante ritorno economico in termini di guadagni pubblicitari che non ci sarebbero se chi apre i link, constatatone la pessima qualità informativa, non contribuisse a divulgarlo ulteriormente.
Data per assodata, quindi, la potenza di questo fenomeno, vi sono numerosi giornalisti e testate che se ne discostano fermamente. Il motivo è chiaro: il click baiting viene ritenuto troppo manipolativo e del tutto ininfluente (cosa comunque sempre vera) sul piano dei valori dei contenuti.
Il click baiting sul piano etico
Il click baiting funziona, ormai è chiaro a tutti! Il suo utilizzo, però, è stato più volte definito del tutto contrario all'etica che dovrebbe stare alla base del lavoro di chi fa informazione. In base ad una sentenza di quasi 40 anni fa (ulteriore dimostrazione che il fenomeno è molto in voga da tantissimi anni), ogni giornalista ha il dovere di informare i lettori in maniera corretta e nella più totale imparzialità trovando il titolo che maggiormente descrive il contenuto del proprio articolo. L'invito contenuto in sentenza, quindi, è quello di evitare assolutamente di utilizzare toni scandalizzati o sensazionalistici con il solo obiettivo di indurre i lettori a leggere la notizia.
Quanto detto vale, indubbiamente, se intendiamo il fenomeno nella sua accezione più negativa: attirare click degli utenti senza fornire loro informazioni di valore. Se andiamo a considerarlo, però, in termini positivi, il click baiting diventa uno strumento per portare gli utenti a cliccare su un articolo che, però, fornirà loro contenuti di valore. In questo caso è consentito l'utilizzo di titoli attraenti e virali che, se rispondenti al contenuto dei pezzi, non lede la credibilità di chi scrive e non lascia l'amaro in bocca a chi decide di leggere la news.
Ma quali qualità deve avere un titolo per essere adeguato e per contribuire ad un'adeguata strategia di marketing?
Sono essenzialmente quattro le caratteristiche che individuano un buon titolo e che un giornalista deve assolutamente tenere a mente nel momento in cui ne sceglie uno per il proprio articolo. Vediamoli insieme.
- Titoli eticamente e "politicamente" corretti devono essere innanzitutto pertinenti alla query inserita dagli utenti. La search intent, quindi, deve risultare soddisfatta al 100%.
- I titoli devono rispecchiare contenuti che siano capaci di informare i lettori che decidono di affidare la propria fiducia a quel determinato articolo.
- I titoli che siano realmente degni di questo nome devono, poi, essere in grado di stabilire un canale comunicativo con gli algoritmi dei motori di ricerca e devono risultare idonei alla diffusione mediante i social network (in primis Facebook).
- Per concludere, un buon titolo deve essere dotato di una forte persuasività.
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